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Speciale: intervista al prof. Riccardo Valentini

Una nuova coscienza a tavola

Il professor Riccardo Valentini è membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo scientifico delle Nazioni Unite dedicato allo studio del riscaldamento globale. Nel 2007 le sue ricerche gli sono valse il Premio Nobel per la Pace. Oggi coordina SU-EATABLE LIFE, un importante progetto europeo che mira a coinvolgere i cittadini nell’adottare una dieta sana e sostenibile per ridurre l'impatto ambientale (consumo d'acqua ed emissioni di CO2) connesso alle nostre abitudini alimentari.
Scopri di più su www.suetablielife.eu

1. Professore, con il progetto SU-EATABLE LIFE si vuole sottolineare la correlazione fra abitudini alimentari sane e attenzione per l’ambiente. A tal proposito si parla di “Indice di sostenibilità delle ricette”: ci può spiegare in cosa consiste?

In passato il cibo veniva inteso soltanto come nutrimento. Poi è diventato un mezzo per stare bene, perché la nostra salute dipende anche da ciò che mangiamo. Oggi è riconosciuto anche l’impatto che ha sull’ambiente: quasi un terzo delle emissioni che producono il riscaldamento globale, ad esempio, proviene dalla filiera alimentare, dalla produzione fino al consumo.

La grande crisi umanitaria legata alla pandemia del Covid-19 dimostra che c’è una relazione diretta tra ciò che mangiamo e la nostra vita, la nostra salute.
Stiamo vivendo una grande crescita demografica, oggi abbiamo 7 miliardi di persone e supereremo presto i 9 miliardi. Il bisogno di produrre sempre più cibo ha portato a modificare l’ecosistema e le condizione ambientali. Distruggendo gli habitat naturali degli animali selvatici saremo sempre più vicini, sempre più a contatto, facilitando la trasmissione dei virus.

Il progetto SU-EATABLE LIFE vuole sottolineare la possibilità di ridurre le emissioni di gas serra, proponendo diete con minor impatto sull’ambiente, senza per questo impedire di mangiar bene.
Come fare? Utilizziamo un database che misura il cosiddetto “carbon footprint”, cioè la produzione di anidride carbonica e gas effetto serra per ogni chilogrammo di prodotto, e la quantità di acqua consumata per produrre ogni cibo. Con l’indice di sostenibilità, per ogni piatto, calcoliamo le emissioni di gas serra, partendo dalla carne rossa, per la quale le emissioni sono molto alte, fino ai piatti della dieta mediterranea, con un minore impatto ambientale.
Il progetto intende dimostrare che è possibile ridurre del 40% le emissioni mangiando bene, possiamo farlo a partire dai luoghi di lavoro, nelle mense, dove si mangia più frequentemente. Al momento lavoriamo con alcune Università e aziende che hanno gentilmente ospitato il progetto e si stanno adeguando alla nuova dieta. Lavoriamo con due target sociologici diversi: gli studenti, cioè i giovani, e le persone adulte, ovvero i lavoratori delle mense aziendali.
Ogni pasto di una persona dovrebbe consumare al massimo circa 1 chilogrammo di anidride carbonica e non più di 800 litri di acqua. Entro questi limiti possiamo ottenere una riduzione di emissioni che permette di contrastare sensibilmente il cambiamento climatico.

2. Pensa che il Coronavirus sia destinato ad avere conseguenze nei sistemi alimentari?

La Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition ha stilato un rapporto sul tema alimentazione-Covid 19. Sono molte le sfaccettature del problema e il primo punto è la sicurezza alimentare: la natura ha la sua complessità e varietà, se distruggiamo gli habitat naturali, come le foreste, gli animali selvatici si avvicinano e il trasferimento genetico avviene più facilmente, è così che si sono trasmessi i virus come l’aviaria, o la Sars Cov-1.
La seconda questione molto interessante per Fondazione Barilla e per le persone che lavorano in questo settore è la comorbidità del virus: una larga percentuale delle persone decedute a causa del Covid-19 avevano patologie pregresse, come ipertensione, malattie cardiovascolari, tumori. Se avessimo tutti uno stile di vita sano e un’alimentazione più corretta avremmo ridotto il numero dei decessi dovuti al virus? Gli eventi legati alla pandemia porteranno a una riflessione profonda sulla natura del genere umano e sulla fragilità della nostra salute.
Il terzo tema è l’approvvigionamento del cibo. Durante il periodo del lockdown in molte aree d’Italia il sistema delle consegne online è andato in tilt, così come la distribuzione logistica.
Altro impatto del Covid-19 sulle nostre scelte e abitudini alimentari è stato l’aumento di richiesta di ciò che è naturale e biologico. Nel periodo del lockdown, inoltre, si è cucinato molto di più in casa, abbiamo insegnato ai figli ricette che prima non conoscevano, abbiamo trasmesso storie, racconti delle nonne, un patrimonio straordinario che ci rimarrà.
Dal mio punto di vista questa pandemia ci farà riprogettare la sicurezza alimentare e diffonderà la coscienza dell’impatto ambientale che ha il cibo, torneremo a viverlo come elemento importante della nostra vita.
Insomma questa pandemia non sarà ricordata solo per i suoi aspetti drammatici.
Anche la natura ha risposto in modo straordinario a questo periodo, abbiamo visto gli uccelli tornare nei giardini e nei parchi, i delfini nei porti… è bastato poco alla natura per riprendersi i suoi spazi, ma quanto è durato? Tutto questo dimostra quanto l’uomo abbia messo sotto pressione la natura in questi anni.

3. Da anni anche il settore privato si sta adoperando per avere un impatto positivo su natura e società. Come Fratelli Carli, prima azienda produttiva italiana certificata B Corp per il proprio impegno; o come Fondazione Barilla, impegnata nei progetti SU-EATABLE LIFE e Fixing the business of food per coinvolgere tutto il settore alimentare nella sfida della sostenibilità. Quale pensa debba essere il ruolo del settore privato?

Il settore privato ha un ruolo fondamentale.
Tutti gli attori della filiera agroalimentare sono necessari: le istituzioni, il privato e ovviamente i cittadini. Queste sono le tre gambe per risolvere i problemi dell’umanità.
C’è una reazione positiva dei cittadini, pensiamo ai giovani, al movimento Fridays for future, sono realmente preoccupati per il pianeta in cui devono vivere e crescere i loro figli.
Il privato è particolarmente importante perché ha in mano la produzione: le scelte aziendali sono fondamentali in tema di sostenibilità. Oggi le aziende stanno facendo passi avanti da gigante, hanno direzioni, vision che interessano i temi della sostenibilità.
Persino i grandi gruppi finanziari stanno iniziando a investire sulle aziende più green. Tutto questo spinge il privato ad avere politiche sostenibili e ad ascoltare la maggiore richiesta dei consumatori di prodotti naturali e ricette semplici.
Il terzo settore, la politica, sta uscendo poco, viviamo in un populismo nazionalistico e i problemi di natura planetaria non possono essere risolti con la logica “my country first”…queste soluzioni devono essere prese da governi mondiali, bisogna guardare al bene dell’umanità nella sua interezza e a lungo termine.
Mi permetta di dire che il cambiamento climatico è molto più pericoloso di questa pandemia perché rimarrà davanti a noi nelle future generazioni. Mancano leader globali che interpretino questo bisogno etico del pianeta, ma anche regolamenti a livello locale: nelle regioni e nei comuni siamo ancora molto carenti.

4. E per quanto riguarda i singoli cittadini, come possono fare la loro parte? E quanto incide?

I cittadini sono consumatori e il business ruota intorno alle loro scelte: a volte pensano di essere solo delle gocce, ma tante gocce formano un fiume e le aziende sono più attente a intercettare le direzioni di nuove abitudini alimentari.
Si riversano su questi temi anche tante esagerazioni o approcci ideologici al cibo, non sempre necessari. Il cittadino deve informarsi e approfondire, non prendere per scontato tutto ciò che trova sul web e sui social.
La scienza ha nella corretta informazione e divulgazione un importante ruolo e una responsabilità.
Noi di SU-EATABLE LIFE ci stiamo focalizzando sul concetto di dieta giusta, quella corretta dal punto di vista nutrizionale ed ambientale, e non sul singolo piatto: dobbiamo spostarci alla dieta intesa come stile di vita, come percorso.
E’ ovvio che la carne rossa ha 50 volte più emissioni di gas serra rispetto a un piatto di legumi, ma in una logica di menu settimanale possiamo combinare i piatti, e mangiando ad esempio la carne rossa due volte a settimana potremmo ridurre del 30% le emissioni di gas serra rispetto a mangiarla tutti i giorni.
La dieta è un percorso da costruire e noi stiamo pensando a uno strumento con cui le persone possano farlo in modo autonomo, all’interno di parametri nutrizionali ed ambientali, secondo i criteri di moderazione e armonia.

5. In questo percorso c’è spazio per la tradizione? Crede che adottare una dieta sana e sostenibile significhi ripensare da zero le nostre abitudini alimentari, o le nostre tradizioni culinarie possono offrire spunti utili per il futuro?

Abbiamo bisogno al contempo di tradizione e di innovazione, il “piatto della nonna” contiene e trasmette storie, rende reali pezzi di memoria, esperienze umane e di vita. Non possiamo dimenticare da dove veniamo e che cosa mangiavamo, la tradizione culinaria è un aggancio straordinario alla nostra psiche, così come alla nostra storia di comunità. Ma anche sperimentare nuovi cibi è prezioso, peraltro lo abbiamo sempre fatto, ad esempio introducendo spezie da altri Paesi, come il pepe nero.
La complessità del cibo è affascinante: contiene tante sfaccettature di cui è bello approfondire la conoscenza.

6. Il progetto SU-EATABLE LIFE ha introdotto in mense aziendali e universitarie piatti bilanciati dal punto di vista nutrizionale e ambientale, i cosiddetti “MY PLATE FOR THE FUTURE”. Quale è stata la risposta in questa prima fase di sperimentazione?

Nelle mense aziendali e universitarie oggi mangiano centinaia di studenti e lavoratori. È qui che abbiamo introdotto il nostro progetto: con il bollino MY PLATE FOR THE FUTURE individuiamo di volta in volta quei piatti che rientrano nei parametri corretti di emissione, conferendogli una “patente” di sostenibilità. E ogni giorno il piatto cambia. Ciascuno sa che scegliendo quel piatto della mensa sta contribuendo sia alla sua salute, sia alla salute del pianeta.
Attraverso il progetto monitoriamo quanti piatti “marcati” vengono scelti e calcoliamo in tempo reale l’impatto ambientale di queste mense.
Dopo solo due mesi dall’intervento del nostro esperimento abbiamo notato un cambiamento nel comportamento alimentare individuale e abbiamo ottenuto risultati interessanti: siamo riusciti ad arrivare anche al 25-30% in meno di impatto ambientale a testimonianza che le persone, una volta sensibilizzate e informate, rispondono positivamente. Il valore ambientale di sostenibilità del cibo è qui direttamente tangibile.
Ancora una volta verifichiamo che le questioni di salute e ambiente procedono in parallelo: con il progetto SU-EATABLE LIFE dimostriamo che scegliere i piatti sostenibili è in linea anche con la salute. Il cibo più salutare è proprio quello che impatta di meno.
Come diciamo sempre: “Fa bene a te, fa bene al Pianeta.”